Esistono da decenni evidenze secondo cui la crescita o il declino di un marchio dipenda unicamente da quanto, rispetto alla sua quota di mercato, sia più o meno capace rispetto ai competitor della stessa grandezza di attrarre nuovi clienti.
Semplificando molto con un esempio:
Se 100 marchi hanno la stessa quota di mercato, hanno più o meno tutti la stessa capacità di attrarre nuovi clienti. Se però uno di questi brand ha una abilità maggiore rispetto agli altri, aumenterà la sua quota, se uno ha una abilità peggiore rispetto agli altri, perderà quota.
La fedeltà al marchio conta poco, così come il numero di acquisti fatti da ogni cliente. Sono variabili che non possono davvero essere davvero gestite dalle aziende ma dipendono unicamente dalla loro penetrazione nel mercato.
La penetrazione si riferisce al numero di persone che comprano un certo brand rispetto al numero di clienti potenziali in un certo segmento di mercato.
In generale si nota che le aziende possono davvero controllare una sola leva: l’acquisizione di nuovi clienti. Non possono modificare la fedeltà di questi al marchio o quante volte comprano, se non in piccole dosi (vedere double jeopardy).
Quando i consumatori americani hanno iniziato a preferire i brand giapponesi a quelli nazionali, non c’è stato un crollo di fedeltà verso i brand americani o una diminuzione del tasso di “retention”. Piuttosto, i marchi giapponesi hanno iniziato ad avere livelli di acquisizione di nuovi clienti più grandi rispetto alla propria quota di mercato. E, sul lungo termine, questo ha corroso le vendite nazionali.
PS: la migliore misura della penetrazione è trimestrale, non annuale
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