Uno dei più grandi problemi nella divulgazione scientifica è che, spesso, le persone non sanno cosa voglia dire “scientifico”. Da un lato i “puristi delle scienze dure” ritengono che solo matematica, chimica, fisica e annessi siano considerabili “Scienza”, visto che permettono di isolare ipotesi e testarle in modo esatto. E questo non si può fare con le discipline “molli” come quelle umane (come il marketing). Dall’altro, molti parlano di scienza confondendola con gli aneddoti personali, ricorrenze che si sono verificate più volte. Ecco perché esiste l’omeopatia, i tarocchi, la paleodieta, la lettura dei fondi del caffè, l’astrologia. Aneddoti e coincidenze personali.
Senza entrare in dissdidi accademici, possiamo accettare che le scienze molli (soft) come quelle umane e il marketing siano considerabili scientifiche fintantoché sono in grado di sviluppare regole universali che nascono da osservazioni in contesti e settori differenti e che vengono poi verificate in review e meta-review. Cioè da altri ricercatori e in altri contesti.
Se, ad esempio, moltissimi studi indipendenti confermano che mettere lo zucchero e il sale vicino alla cassa nei supermercati fa vendere di più a parità di fattori, abbiamo una legge empirica del marketing. È scienza.
E la scienza è alla base del lavoro dell'agenzia Deep Marketing.
In questo senso, le famose “22 Leggi Immortali” di Al Ries, tanto adorate da molti formatori della disciplina (che spesso non hanno mai fatto marketing prima di insegnarlo…) sono un disastro. La scienza è distante. Molto molto distante.
Non a caso, applicando queste leggi, iPhone avrebbe dovuto essere un flop (errore di previsione dello stesso Al Ries), e pure il SUV Urus (errore di un suo fan italiano). Sappiamo entrambi come siano andate davvero le cose. Previsioni così fallimentari, da sole, dovrebbero mettere in dubbio la validità di alcune teorie!
La mancanza di scienza
Vediamo alcuni esempi dei limiti della divulgazione di Al Ries e di questo suo libro in particolare, che per taluni è una Bibbia da prendere acriticamente. Meglio di no.
Essere i primi è meglio?
L'autore sostiene che sia “meglio essere primi nel mercato che essere i migliori“. Nel marketing professionale, questo concetto è molto ben conosciuto e studiato e si chiama “first mover advantage” o “vantaggio del pioniere”. Il problema è che la semplificazione di Ries e Trout si scontra, purtroppo, con le evidenze di decenni dei mercati. Che rendono il vantaggio del pioniere qualcosa di raro, e decisamente non la norma.
Google ha infatti spodestato Altavista (primo entrato nel mercato), e continuamente nuovi player migliori dei precedenti rubano la piazza ai vecchi. Il vantaggio dei primi arrivati a volte esiste, ma non è inossidabile. E, soprattutto, essere primi implica rischiare molto più degli altri e spendere molto più degli altri. Perché bisogna creare il mercato, e il mercato potrebbe non esistere. Non è mai sicuro come risponderanno i clienti in una nuova categoria. O se esistano davvero.
Le PMI decisamente non dovrebbero seguire questo consiglio, non si possono permettere un simile livello di rischio di fallimento!
Un ragionamento fallace
Spesso nel libro (e anche per i vantaggi dei pionieri) Ries e Trout compiono ingenuamente un gravissimo errore logico: il survivorship bias. Se, ad esempio, 1000 aziende applicano le loro leggi e solo 10 hanno successo, gli autori dimenticano le 990 e prendono solo le 10 vittoriose. Declamando che, come queste hanno avuto successo applicando le loro leggi, così possono fare tutte.
Purtroppo la scienza è più complicata di così. Non basta selezionare solo ciò che ci conviene. Per derivare delle leggi è necessario tenere conto sempre di tutto il campione. Letteralmente, Ries avrebbe dovuto mostrarci che, su decenni di dati analizzati, le sue leggi si applicano nella maggior parte dei casi. Purtroppo, tutto il libro fa l'operazione opposta: seleziona solo i casi che confermano le sue tesi.
Se vi sembra un metodo comune, avete ragione. Il tipico "guru" del marketing fa lo stesso: su migliaia di studenti, parla sempre e solo dei pochissimi che hanno avuto successo grazie a lui. Peccato che gli altri siano falliti o "galleggino" a fatica, applicando le stesse-identiche regole.
Primi nella mente
“Meglio essere primi nella mente che nel mercato”, altra famosa regola di Trout e Ries.
Ci risiamo. Come ogni cattiva scienza, questa idea funziona solo perché è vaga e ciascuno la riempie come vuole. Esattamente come per l'oroscopo: è talmente generico che si applica a tutti. E, soprattutto, questa formula contraddice la legge “meglio essere primi nel mercato”. Altro problema che spesso si nota negli scritti di Al Ries: un incredibile confusione e contraddizione, non compresa dallo stesso autore.
Non capiamo: meglio essere primi nel mercato o nella mente? Perché prima mi si dice che si deve essere pionieri e poi che tutto sommato non conta perché alla fine è solo la percezione delle persone a fare la differenza?
Incidentalmente, la legge (vera) della Double Jeopardy nel marketing ci dice che c’è spesso una incredibile conformità tra quote di mercato e “quote di memoria”. Quindi Al Ries, distinguendo queste due variabili (mercato e ricordo), introduce una inutile discriminazione fumosa, falsificata dalla scienza, e che aumenta il tasso di opinionismo.
Focus!
La legge del focus di Al Ries (“possiedi una parola nella mente del cliente”) è sbagliata da capo a piedi. Lo sappiamo perché esiste una scienza – la psicologia cognitiva – che ci assicura che la memorizzazione dei brand è in larga parte subcognitiva e sub-funzionale. Cioè le persone non ricordano i marchi facendo ragionamenti coscienti o sofisticati, men che meno li associano a “parole” specifiche. I marchi sono ricordati come ogni altra cosa nel cervello: in una rete neurale distribuita multisensoriale costruita sugli asset di brand e inconscia.
Non a caso, Ries per giustificare questa legge fa sempre gli stessi esempi, che tra l’altro non funzionano in luoghi differenti dagli USA (nessuno di noi ricorda la BMW per una sola parola “drive” / “guida”, la ricorda per una nuvola di associazioni inconsce).
Siate differenti da tutti e esclusivi
L'errore sul Focus invalida molte altre leggi della coppia di autori, come quella dell'“esclusività”, secondo cui ogni brand dovrebbe essere totalmente diverso dagli altri e avere parole specifiche non condivise con altri marchi.
Ahimè, siamo di fronte a un errore catastrofico. Quest'idea cozza con ogni-singolo concetto di marketing professionale, di neuromarketing, di psicologia cognitiva, di ricerca di mercato. È talmente sbagliata e insensata da chiedersi come sia possibile che qualcuno possa ancora crederci.
Il cervello umano funziona in modo esattamente opposto a come viene descritto dalla legge sull'esclusività. In effetti, di continuo aziende diverse posseggono rappresentazioni simili nella mente del cliente. Nel vero e buon marketing, la differenziazione deve essere fatta sull’intero corso degli asset di brand, non basta "trovare la parola" o essere agli antipodi dei concorrenti. Tra l'altro, applicando questa legge rischiamo di infrangere una delle (vere) leggi del marketing, cioè quella della prototipia.
Un disastro.
Leader e competitor?
Non abbiamo prova che i mercati si riducano sempre a un leader e a un main competitor, come suggerisce Ries. Questa idea è simile a una goccia di rimedio omeopatico. Si nota spesso nel mondo reale una dinamica drammaticamente diversa. I mercati più efficienti paiono possedere infatti una struttura che vanta svariati leader concentrati sul fatturato, pochi brand in mezzo, e moltissimi piccoli brand ossessionati da marginalità e penetrazione.
Non estendere!
Un’altra banalizzazione insensata è quella contro le estensioni di linea. Un bel modo di perdere una marea di soldi. Le linee si estendono eccome, di continuo, e con successo. Semplicemente, bisogna saperlo fare. Ci vogliono decenni di competenza di strategia.
Se il mondo fosse così facile come suggerisce Ries e riconducibile a pochi assiomi, chiunque farebbe marketing. Grazie al cielo e fuori da alcune teorie colorite, gli imprenditori sanno che è un mestiere difficile e da professionisti.
Viaggi nel tempo
“Non puoi predire il futuro”. Basterebbe questa regola di Ries a posizionare il libro nello scaffale delle barzellette.
L'autore, dopo averci elencato una marea di leggi che prevedono il futuro sulla base di un’azione di marketing fatta dalle aziende, sostiene che il futuro non sia prevedibile. Com'è possibile che non si sia accorto di un tale conflitto logico e che invalida del tutto il suo lavoro?
Ed è falso: una certa dose di correlazione stabile è la base della scienza. La differenza tra buona e cattiva scienza è proprio che la prima ha abilita predittiva, quantomeno a livello di correlazioni stabili e forti.
I meriti
Sarebbe ingiusto non chiudere questo approfondimento con i meriti di Ries e Trout. Meriti, purtroppo, non capiti dai formatori che li insegnano. Il libro di Al Ries merita un posto nel marketing, se non altro perché:
Ha chiarito che la disciplina è sia economica, sia umana. Ha a che fare con la mente umana e la sua struttura. Non è una considerazione banale. Il libro ha lottato contro un riduzionismo economico imperante. Peccato abbia risposto con un diverso riduzionismo. E peccato che non abbia scalfito l’amore per il fatturato-prima-delle-persone-e-del-vantaggio-competitivo di tanti fan di Al Ries. Ha avuto ottime intuizioni, ha fallito nel portarle a terra.
Insiste sui concetti di “candore” e “amore per il fallimento”. Francamente, basterebbe questo a farlo leggere. Peccato che l’onestà richiesta da Al Ries e il non nascondere i propri fallimenti, ma anzi abbracciare la falsificazione delle proprie idee e le critiche, siano taboo nelle comunità che diffondono il suo verbo.
Al Ries ci ricorda che successo e arroganza vengono assieme, quindi dobbiamo stare molto attenti. Verissimo.
Con un incredibile acume intellettivo che stona moltissimo con alcune debolezze argomentative del resto del libro e l’uso di fattucoli e aneddoti, Trout e Ries notano che, spesso, nel marketing la maggior parte degli effetti arriva da una sola mossa “tosta” e fortunata. Vero. Questo è predetto dalle leggi della Complessità e del Caos e ha a che fare con le dinamiche a feedback positivo della realtà. Il problema è che lo sappiamo dopo quale mossa ha funzionato, non prima. Quindi questa legge, per quanto brillante, è perfettamente inutile, se non a sensibilizzare le imprese. Il che è impossibile perché nel mondo reale siamo bombardati da dati e informazioni e difficilmente riusciamo a isolare le cose mentre accadono. Vediamo solo “col senno del poi”.
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